Durkheim ha posto fin dall’inizio al centro della sua opera il problema della morale. Egli riteneva che non fosse possibile una vita sociale senza morale. Il contratto, ad esempio, doveva la propria sopravvivenza non solo e soprattutto alle norme di diritto che imponevano una riparazione al mancato adempimento dell’obbligazione, bensì a quegli “elementi non contrattuali” presenti in esso e che Durkheim identificava nei fondamenti morali della solidarietà.
Il discorso di Durkheim sulla morale parte quindi dal presupposto che le norme e le istituzioni sociali avessero un fondamento morale.

La morale d’altra parte traeva la sua forza obbligante, ossia il suo elemento costitutivo, proprio dalla società e dall’assicurare la vita sociale. Se è vero, quindi, che non vi è vita sociale senza morale, allo stesso modo non vi è dovere morale se non avesse come oggetto e come autorità la società stessa. Per tali motivi, nelle opere di Durkheim, la questione morale è sempre presente, tanto da far dire a Giddens (1) che, per il sociologo francese, la sociologia è innanzitutto la scienza dei fatti morali.

Accanto a questa premessa dello studio durkheimiano, è necessario considerare un secondo punto che influenza la riflessione di Durkheim attorno alla morale.
Se la sociologia è la scienza dei fatti morali, essa, tuttavia, si deve porre entro un approccio teorico e metodologico differente rispetto a quello che, fino ad allora, aveva costituito l’approccio della filosofia morale. L’esigenza durkheimiana di far assurgere la sociologia al pari delle scienze naturali, porta il sociologo francese ad assumere uno sguardo positivista per cui, lo studio sociologico, non dovrebbe procedere attraverso un metodo deduttivo – ossia il metodo dei moralisti che tracciano una definizione di morale per poi adeguarvi la realtà – bensì partire dall’osservazione empirica dei fatti morali attraverso i segni esteriori e visibili che li definiscono.
In altre parole, la determinazione del principio della morale non dovrebbe affatto segnare l’inizio della ricerca, in quanto, come diceva lo stesso sociologo di Epinal, “je ne la rencontre qu’à la fin de la recherche”(2).

Lo studio della morale in Durkheim parte dunque da queste due premesse, una di carattere teorico e l’altra, invece, di carattere metodologico. Il punto che intende risolvere è simile alla questione kantiana di trovare un fondamento che fosse, in pari tempo, solido e adeguato ad una morale come principio primo dell’ordinamento sociale e che non interferisse con la crescente differenziazione delle sfere di vita del mondo moderno.

L’analisi del sociologo francese parte dalla ricerca di quel segno oggettivo e misurabile, necessario allo studio scientifico dei fatti sociali, del dovere morale. Egli individua tale segno esteriore caratterizzante le norme morali, nel fatto che le prime sono regole di condotta implicanti una sanzione. La sanzione è il carattere visibile della forza obbligante che costituisce la norma morale: essa, quindi, non precede l’obbligatorietà della morale, ma ne è espressione empirica. In altre parole, l’individuo sente un agire come dovere morale non perché è sanzionato, ma, viceversa, un agire è sanzionato in quanto sentito come dovere. L’obbligatorietà, al contrario, si collega con il concetto di dovere che è al centro della norma morale.

Il tipo di sanzione che accompagna le norme morali ha carattere diffuso e generalizzato, ossia non è tradotto esplicitamente in una legge o in un codice. Se la morale è sanzionata attraverso la società allora ne consegue, per Durkheim, che essa è solo in apparenza una questione individuale, mentre in realtà dipende da condizioni sociali.
In secondo luogo, se la morale è un tipo di condotta sanzionato, allora non è l’atto in sé ad essere morale, ma è la regola che pone l’agire come un dovere, che ci obbliga ad esso.
La morale allora si presenta in Durkheim come “un système de regles de conduite” contrapposte ad altre sfere, di cui ne costituisce, al tempo stesso, il momento fondante. Durkheim, a differenza di Kant, non crede tuttavia che l’obbligatorietà sia il solo attributo di queste regole. L’individuo agisce secondo le norme morali non solamente perché le percepisce come “dovere”, bensì anche perché le sente come “desiderabili”. Accanto alla forza obbligante delle norme morali Durkheim inserisce anche la desiderabilità. In altre parole, le norme morali “toccano” l’individuo in due significati differenti e complementari: sia nel senso di “io devo” (le devoir), sia nel senso “lo desidero” (le bien).
La morale presenta, così, gli stessi caratteri del sacro e l’interconnesione fra morale, sacro e società è forte nelle rappresentazioni religiose, come studiate da Durkheim nella sua opera Le forme elementari della vita religiosa.

A questo punto si arriva al passaggio centrale della sociologia di Durkheim: da dove traggono le norme morali questa doppia natura di dovere e di desiderabilità? Per Durkheim la risposta è evidente: dalla società. La società, infatti, rappresenta la fonte e l’oggetto della morale: essa è desiderabile perché ha per oggetto quella che è la sola possibilità per l’individuo di esistere (l’individuo, infatti, “ne peut exixter au dehors d’elle”) e di emanciparsi dalla sua natura animale. D’altra parte, afferma Durkheim, se non fosse la società l’oggetto della morale, allora quest’ultima si ritroverebbe senza alcun fine; infatti, la finalità della morale non può essere né l’individuo stesso che agisce – difficilmente si potrebbe considerare morale un atto che ha come unico fine l’autoconservazione – né gli altri individui – ciò che non vale per l’individuo in sé non vale neanche per gli altri.

Il sacrificio e il disinteresse richiesti dalla norma morale non avrebbero senso se essa non avesse come punto di riferimento qualcosa di superiore al singolo individuo, ossia la società: quel soggetto collettivo sui generis che è qualcosa di più della somma delle sue parti.
Questo passaggio è fondamentale per comprendere in profondità il contributo di Durkheim: egli sostiene che senza società non vi sarebbe morale, che la società è fonte e autorità della sostanza morale che ha per oggetto la società stessa. Senza la prima non vi sarebbe la seconda, e viceversa. Anzi, secondo Durkheim il rapporto tra società e morale è funzionale, ossia ogni società ha la morale che gli confà per assicurare il vincolo tra i suoi membri.
Al tempo stesso la società mi tocca come dovere perché è la sola autorità che è in grado di porsi come forza obbligante in quanto qualcosa di differente dalla somma delle sue singole parti. Essa è al di sopra dell’individuo e, in pari tempo, immanente in lui: significa che la società è nell’individuo ma non si esaurisce in lui, in quanto lo trascende. Ed è questo doppio movimento di trascendenza e immanenza che fonda l’autorità morale della società: l’individuo riconosce qualcosa di superiore, che allo stesso tempo lo ri-comprende. Volere la società significa volere se stessi e volere la società significa volere essere morali.

Da questa breve esposizione del pensiero durkheimiano segnaliamo due punti fondamentali che verranno successivamente ripresi dal contributo critico di Bauman: innanzitutto, l’identificazione della morale come sistema di regole di condotta comporta un approccio sociologico rivolto alla dimensione macro-sociale, trascurando le dinamiche e le pratiche dei soggetti impegnati ogni giorno a dare senso al mondo e, quindi, anche al concetto di morale.

In secondo luogo, dalla precisazione che la morale ha come fonte e oggetto la società, per cui senza morale non vi è società e, soprattutto, senza società non vi è morale, ne consegue che una norma morale è sempre in funzione della società e in quanto tale va ricercato il suo significato strumentale.

In terzo luogo, l’idea, derivante dalla seconda considerazione, che la società come autorità morale permette all’individuo di compiere scelte morali: questo significa che Durkheim, come i filosofi illuministici, non considera la morale una capacità naturale degli individui, i quali, se lasciati a se stessi, non sono degni di alcuna fiducia nelle loro scelte etiche. D’altro canto, solo la società permette al sacrificio e al disinteresse di avere un senso. Qui arriviamo così al quarto punto: Durkheim, come tutto il pensiero moderno dall’Illuminismo in poi, sente il bisogno di fondare su qualche cosa di solido e universale la morale e tale sostegno è identificato nella società.

L’approccio di Durkheim si iscrive, dunque, in quella tradizione moderna che, tesa alla ricerca di una risposta al perché l’uomo è e deve essere morale, è costretta a fondare l'azione su un qualcosa di solido che non può essere la sola volontà individuale. Quella corrente di pensiero che è stata chiamata da diversi autori, come ad esempio Pierpaolo Donati, fondazionista.

di Manuel Antonini

(1) A. Giddens, Durkheim, Bologna, Il Mulino, 1998
(2) E. Durkheim, Determination du fait moral, 1906