Home Sociologia
Home Sociologia
Gli animali non umani. Per una sociologia dei diritti.
Il libro di Valerio Pocar si interroga, attraverso uno sguardo socio-giuridico, sull'estensione nella società umana di un'opinione favorevole al riconoscimento dei diritti per gli animali e in quale misura ciò si è tradotto in norme giuridiche

[08/05/2008]

“Lo scopo di questo scritto […] non è specificamente quello di sostenere un determinato punto di vista, bensì piuttosto quello di verificare, seguendo un accostamento di tipo sociologico e giuridico, se nella società umana vi sia e in quale estensione sia condivisa l’opinione favorevole al riconoscimento di diritti per gli animali e in quale misura tale opinione sia stata tradotta in norme giuridiche.”

Che diritti hanno in concreto, oggi, gli animali non umani in Italia e nel mondo occidentale? Questo l’interrogativo di fondo del libro di Valerio Pocar (saggista e docente di Sociologia del diritto a Giurisprudenza presso l’Università di Milano-Bicocca) intorno a un tema poco dibattuto oltre la ristretta cerchia dei circoli ecologisti o animalisti. Volendo riassumere in tre parole la riflessione/indagine dell’autore, potremmo rispondere: assai scarsi diritti, o almeno molto teorici. Certo, vi sono leggi – sia nel nostro Paese che nel resto d’Europa – tese a proteggere le specie a rischio, a contrastare la violenza nei confronti delle bestie o a evitare “inutili sofferenze” agli animali allevati a scopo alimentare o per la ricerca scientifica. Ma al di là della rara comminazione di pene o ammende, resta che i diritti degli animali non sono sufficientemente tutelati, visto il conflitto di interessi tra essi e la nostra specie, che dalla preistoria al nuovo millennio continua a cacciarli, segregarli e ucciderli, ossia utilizzarli come cose più che esseri senzienti in grado, pari a noi, di provare emozioni. Insomma, sostiene Pocar, il problema è che continuiamo a trattarli come oggetti invece che come soggetti (di diritti, appunto).

E non si può non concordare che alla base di tale prassi imperialistica, così generale fra gli umani, stia senz’altro una mai tramontata concezione antropocentrica: abusato paradigma che pone l’uomo al centro del mondo considerandolo “misura e fine di ogni realtà”. Perfino la teoria evoluzionistica, secondo l’autore, è ancora colta all’interno di un’ottica nel segno dell’antropocentrismo e del dualismo uomo/natura, se è vero che i più vedono gli uomini alla sommità di un’evoluzione che indicherebbe in noi il vertice privilegiato/destinato a regnare sulle altre specie. Non a caso, si sottolinea nel saggio, taluni animali sono maggiormente favoriti e godono di attenzioni particolari – come i cani o i gatti – giusto a causa di una prospettiva di “vicinanza” con noi. Ma ciò è ben lontano da un’etica aspecistica.

Vi è dunque ambivalenza e contradditorietà nel modo in cui ci rapportiamo agli animali, a seconda dell’interesse perseguito. E quello alimentare ne costituisce certo l’elemento cruciale. L’utilizzo delle bestie come fonte di nutrimento è infatti lo scoglio dove s’infrangono fatalmente le buone intenzioni e il pietismo animalistici. Tema centrale (e spinoso) del saggio è dunque l’opzione “zoofagia”, ossia la opportunità/liceità o meno dell’uso “di alimenti di origine animale”. Qui il j’accuse di Pocar è netto: allevare bovini da macello è, prima ancora di un delitto, uno spreco (per 1 Kg di carne spendiamo 16 Kg in soia e cereali e 30 metri cubi d’acqua) in termini di risorse ambientali; il che accresce la fame nel mondo. Cibarsi di animali, secondo il Nostro, sarebbe moralmente accettabile solo se non vi fossero alternative; ma esistono le proteine vegetali, il cui consumo non causa sofferenza nei nostri confratelli mammiferi. Ma la polemica del sociologo va oltre, mettendo sotto accusa pure la sperimentazione animale in campo medico, imputata di scarsa o dubbia scientificità.

Tirando le somme, l’egemonia dell’animale uomo sui propri simili non umani è ancor lungi dall’esser messa sul serio in discussione in Occidente. Ma, va ricordato, solo verso fine Ottocento lo schiavismo è stato unanimemente condannato come pratica immorale. C’è dunque da sperare che in un futuro prossimo riesca a svilupparsi una sociologia o un’etica dei diritti degli animali oggi improponibile. Un saggio come questo risulta in ogni caso un contributo non marginale all’elaborazione di una Weltanschauung meno ottusa e più ecologica.

Recensione a cura di Francesco Roat pubblicata su www.wuz.it
Altre recensioni
  • [09/09/2009] Badanti & company
  • [07/08/2009] Sociologia della musica urbana
  • [06/07/2009] La democrazia di Tilly
  • [04/06/2009] Donne, potere, politica
  • [05/05/2009] Aree metropolitane in Italia
  • [07/04/2009] Il relativismo
  • [03/03/2009] Il vocabolario della modernità
  • [06/02/2009] Gli indicatori sociali
  • [07/01/2009] Lusso e potere. L'era dell'eccesso
  • [11/12/2008] Il ritorno di Berlusconi

  • ARTICOLI AUTORI LIBRI DOSSIER INTERVISTE TESI GLOSSARIO PROFESSIONI LINK CATEGORIE NEWS Home

    Skype Me™! Tesionline Srl P.IVA 01096380116   |   Pubblicità   |   Privacy