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L'Africa di Thomas Sankara (Le idee non si possono uccidere)
Il libro scritto da Carlo Batà su una delle figure politiche africane più originali e sul suo pensiero, la cui forza ha fatto tremare i pilastri del potere

[03/12/2007]

La recensione del mese di dicembre è un’eccezione alla linea finora seguita. Il libro qui presentato, “L’Africa di Thomas Sankara” di Carlo Batà, non è propriamente un testo di sociologia, lo sappiamo bene, e, tuttavia, riteniamo opportuno recensirlo per almeno due motivi ben precisi. In primo luogo, perché parla di Thomas Sankara, ex presidente del Burkina Faso assassinato nel 1987, figura politica africana che si allontana, e di molto, dai modelli politici “usuali” del continente solitamente caratterizzati da corruzione e clientelismo. In secondo luogo, perché le politiche promosse dall’ex presidente sono state uno dei primi tentativi, come afferma l’autore stesso, di sostituire l’idea dominante di sviluppo, declinato in senso neo liberale, con un diverso paradigma, fondato sull’autonomia economica e la condivisione dei diritti. In entrambi i casi, dunque, il libro si propone come riflessione e critica interessante in un dialogo, quello politico e scientifico, che spesso mette poche volte in discussione l’ordine “solito” delle cose.

Attraverso una struttura lineare, i primi capitoli affrontano le fasi iniziali della vita di Sankara, dall’infanzia fatta di stenti e passata a rovistare tra i rifiuti dell’hotel Indipendence di Ouagadougou all’inizio della sua carriera militare - unica opportunità nell’allora Alto Volta (questo il nome del paese ereditato dall’occupazione coloniale) di ottenere un’istruzione per i ragazzi degli strati sociali più poveri. Successivamente il libro introduce il pensiero di Sankara e le politiche promosse durante la sua presidenza, intersecando molto spesso i due aspetti, quello teorico e quello pragmatico, a sottolineare come la coerenza, oltre che il coraggio, fosse una delle doti principali di questa figura politica, a suo modo eccezionale non solo nel panorama africano. Non è un caso che Sankara rinomina il paese da Alto Volta a Burkina Faso: il cui significato nella lingua locale è “il paese degli uomini integri”.
E secondo Sankara è proprio l’integrità della classe politica e della popolazione la prima ricetta per sollevare il paese dallo stato di arretratezza culturale ed economico che lo caratterizzava a metà degli anni ’80.

Nonostante fossero passati ormai vent’anni dall’indipendenza, infatti, il paese segnava dati di sviluppo disastrosi, tanto da far dire a Sankara, durante il suo famoso intervento alla conferenza dell’Onu nel 1984, che il Burkina Faso era “il concentrato di tutte le disgrazie dei popoli”. Sankara individua la causa di questa condizione nella corruzione della classe politica burkinabé, e africana in generale, e della sua connivenza con i centri di potere occidentali, che promuovono uno sviluppo del continente funzionale agli interessi del nord del mondo e delle sue multinazionali (a metà degli anni ’80 Sankara e uno dei primi e dei pochi a individuare nelle pratiche senza regole delle grosse corporations una minaccia alla distribuzione della ricchezza nei paesi più impoveriti).

Delineato nei primi capitoli l’integrità come fondamento centrale della rivoluzione auspicata dal pensiero politico di Sankara, nei capitoli successivi il libro affronta le varie declinazioni e proposte assunte da essa nei diversi interventi dell'ex presidente. La promozione di un’economia popolare (“consumiamo nurkinabè”) ossia uno sviluppo economico autonomo (sia nei confronti delle istituzioni internazionali, agenti pronte a favorire gli interessi del nord, sia verso le ong, chiedendo loro attraverso una formula elegante e acuta di favorire “un aiuto che aiuti a fare meno dell’aiuto”) che assicurasse l’autonomia politica (interessante, inoltre, notare come oggi i maggiori sociologi indichino nella relazione tra economia globale e politica nazionale uno degli aspetti più negativi dei recenti sviluppo del capitalismo mondiale); le politiche rivolte a favorire l’alfabetizzazione e l’accesso ai servizi medici di base; la promozione di un comportamento morale tra i funzionari e i ranghi dirigenziali dello stato e dell’esercito, favorendo per primo l’esempio e rinunciando alla scorta, sostituendo le auto blu con semplici utilitarie e privandosi del condizionatore in ufficio (ci ricorda Batà che il monito di Sankara è chiaro e netto: “non possiamo essere la classe dirigente ricca di un paese povero”).

Tra le politiche e gli interventi promossi, davvero molti, nel libro è dato molto spazio anche a due questioni fondamentali nel pensiero di Sankara: da una parte l'insistenza a favore dell’avanzamento sociale delle donne, che Sankara ritiene un passaggio fondamentale per assicurare il benessere e la giustizia nel Burkina Faso, e in Africa in generale; e dall’altra la sua campagna per decolonizzare l’immaginario collettivo del popolo burkinabè e africano. Sankara, infatti, non denuncia solamente la colonizzazione o neo colonizzazione economica, ma anche gli effetti nefasti lasciati in eredità a livello culturale dall’occupazione europea. Egli mostra come tale impronta incida sulle possibilità di riscatto dei popoli d’Africa.
Decolonizzare la mente, dunque, sia per combattere l’invasione della produzione culturale francese, e occidentale in genere, e dei suoi stereotipi (organizzando il noto festival del cinema, FESPACO), ma soprattutto per permettere l’avvio di un quel modello di sviluppo economico e culturale africano centrale nell’idea di rivoluzione avanzata da Sankara. Una delle sue frasi più belle, infatti, esortava il popolo burkinabè ad "osare inventare l'avvenire".

Il libro affronta tutti questi argomenti, e altri (come la visione riguardo il disarmo e il ricorso alla guerra) in modo lucido e chiaro, intrecciando il percorso di Sankara agli avvenimenti internazionali di quegli anni, e si conclude con il racconto drammatico dell’epilogo della carriera politica e della speranza che egli rappresentava. I nemici di Sankara, infatti, erano troppi e la sua ingenuità nei confronti del suo paese, o forse la speranza (o ancora la sua coerenza nell’affrontare le conseguenza delle sue idee, unico modo per legittimarle), portò alla sua morte nel 1987, durante un colpo di stato che mise al potere Blaise Kompaorè, suo amico durante gli anni dell’Accademia militare e ancora oggi al potere. Una morte che non spezzò solo i sogni del popolo burkinabè, ma anche di quelli vicini ed in generale di tutte le popolazioni costrette a mendicare sotto il giogo della miseria, come se la mendacità, seguendo il pensiero di Sankara, fosse l’unico modello di sviluppo economico a loro concesso.

Un invito dunque a leggere il libro per riflettere su una figura carismatica della politica africana e sul suo pensiero (che, oltre al dono della profondità, aveva anche il pregio dell’eleganza) e per rivedere gli schemi abituali coi quali guardiamo alla politica africana (cercando di cogliervi le nostre responsabilità) e quel grande dramma che chiamiamo, impropriamente, sottosviluppo.



di Manuel Antonini
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