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The Corrosion of Character
Ovvero ''L'uomo flessibile'' di Richard Sennett. Come agisce sulle nostre personalità il lavoro di oggi?

[05/11/2007]

In questo breve saggio (pubblicato alla fine degli anni ’90 negli Usa e nel 2001 in Italia), il sociologo americano, cerca di delineare gli effetti del capitalismo globale e delle sue parole d’ordine ideologiche su milioni di lavoratori che incrociano le loro traiettorie e strategie di vita con le nuove condizioni del commercio e della finanza mondiale. E la prospettiva, ci dice Sennett, non è positiva: la precarietà e le caratteristiche del lavoro flessibile erodono la personalità degli individui.

Non a caso, il titolo originale del libro è “The corrosion of character”, stravolto poi in italiano da Feltrinelli in “L’uomo flessibile”, pratica, come afferma Enrico Pugliese, che trasforma il saggio con “un titolo neutro e semmai un po' accattivante”. Il punto, sostiene Pugliese, è che in Italia come in America, la flessibilità è vista come qualcosa di positivo e puntare sulla parola presumibilmente aumenta le vendite. Tuttavia Sennett, parlando di flessibilità intende l’ideologia del nuovo capitalismo mondiale che ha imposto e impone, appunto, la flessibilità come una cosa buona, una conquista sociale, una liberazione dai vecchi vincoli dell’organizzazione del lavoro fisso tipico dei decenni precedenti agli anni ’80. Ma proprio in quanto ideologia e perché sociologo, Sennett è interessato a scoprire cosa c’è dietro, quali sono gli effetti della pratica flessibile sui caratteri e sulle personalità dei lavoratori e definire, intento che viene ripreso nel sottotitolo “Le conseguenze del nuovo capitalismo mondiale sulla vita personale”.

La ricerca comincia con la descrizione della vita di Rico, prima manager e poi titolare di una propria agenzia nel mercato pubblicitario, e della sua famiglia. Come in un’epopea, il libro in queste pagine riprende un precedente lavoro del sociologo, “Le ferite di classe nascoste”, dove era narrata la storia di Enrico, padre di Rico, e della sua famiglia. In questo modo, Sennett compie un’analisi comparata nel tempo, mettendo a confronto le certezze e le fatiche di Enrico e le insicurezze e i successi di Rico per vedere in contro luce gli effetti sulla personalità della nuova organizzazione del lavoro.

E le differenze che emergono dal libro sono chiare: la precarietà e l’insicurezza sono gli elementi che dividono come in un abisso le vite di padre e figlio. Il sogno del padre di Rico era il sogno di ascesa sociale di un giovane proletario di origine italiana: il sogno di mandare il proprio figlio al college al prezzo di duri lavori e fatiche. Sennett non cade nella nostalgia, consapevole delle durezze e delle frustrazioni della vita di Enrico raccontate nel libro precedente ma sottolinea come in quegli anni, se le regole erano dure, allo stesso tempo erano anche note: il prezzo da pagare era alto, ma c’erano certezze.

La sicurezza, al contrario, è proprio l’elemento che manca al figlio, Rico. Seppure brillante professionista, di successo, appartenente ad una borghesia agiata e con una condizione di maggior benessere rispetto al padre, Rico vive il proprio lavoro con un senso di precarietà maggiore, circondato da angosce derivanti dall’educazione dei figli e di non riuscire a trasmettere valori di vita importanti (come la fedeltà e l’impegno che prima erano veicolati anche attraverso un lavoro che investiva l’intero arco di vita, a dispetto della precarietà del lavoro flessibile), dall’impressione di non avere controllo sulla gestione del tempo.
In altre parole, mentre il lavoro del padre non garantiva ricchezza, ma in cambio forniva certezza, oggi la flessibilità può dispensare maggiori possibilità di avanzare nella scala sociale, ma a patto di rinunciare a certezze e sicurezze. Come ricorda Pugliese nella sua recensione “è come se tutto ciò fosse sempre sul punto di svanire: la mobilità professionale richiesta dall'accumulazione flessibile implica mobilità territoriale, trasferimenti, necessità di ricostituire nuove relazioni sociali. I rapporti sociali nelle aree di insediamento, nelle quali di volta in volta ci si colloca, non solo sono diversi e meno stabili rispetto a quelli nelle vecchie comunità di immigrati ma sono anche diversi da quelli tipici della vita nel sobborgo residenziale stabilizzato all'epoca del capitalismo organizzato. Insomma, le reti sociali sono anch'esse messe alla prova dalla nuova complessiva flessibilità”.

Il carattere di Rico, così come di altri manager, si corrode allora perché sempre sull’orlo del precipizio, perché la ricchezza accumulata è sempre sul punto di essere persa con la fine di un lavoro e l’assenza di alternative, perché, parafrasando un noto mecenate e artista, “del doman non vi è certezza”.

Ma le narrazioni di Sennett non si fermano alla famiglia di Rico. Così come l’autore, consapevole delle fatiche del padre, non si concede nostalgia verso un passato romantico, allo stesso modo è cosciente che ci sono milioni di lavoratori per i quali la flessibilità non ha rappresentato quella risorsa che a Rico ha permesso di guadagnare il proprio status. Per molti lavoratori la flessibilità si declina solo in termini di precarietà e incertezza, imponendo estreme difficoltà nel costruire un progetto di vita. Il libro, infatti, prosegue con altre narrazioni, al centro dei quali la corrosione prodotta dall’insicurezza è sempre vista attraverso gli occhi dei protagonisti: Rose, che abbandona il proprio cafè per tentare come impiegata nel nuovo capitalismo mondiale e presto torna sui suoi passi, spaesata e disorientata; i colleghi di una panetteria di Boston che, come in un call center o in un fast food, non hanno possibilità di costruire alcuna relazione visto l’alto numero cambi e sostituzioni.
Se poi, ci dice tra le righe Sennett, durante gli incontri di Davos si esalta la flessibilità senza considerare i suoi effetti sulle persone, siamo allora in presenza di un indizio che la flessibilità sia una comoda ideologia.

La forte mobilità all’interno del luogo di lavoro, il dinamismo delle aziende, l’incertezza del proprio status, l’assenza di alternative sono tutti fattori che alimentano la corrosione del carattere di Rico, di Rose o dei panettieri di Boston. E la forza del libro di Sennett risiede proprio nel riportarci questi effetti sulla personalità attraverso gli occhi di chi vive queste tensioni: come un viaggio etnografico, i resoconti delle esperienze personali assumono un carattere centrale e rendono forza e fascino alla ricerca, che scava nel profondo delle vite e le illumina. Perché poi, come afferma Ascanio Celestini, alla fin fine flessibilità, precarietà, lavoro fisso, mercato, globalizzazione, non esistono, ma "ci sono gli esseri umani con norme e cognome". E Sennett lo sa bene.

Lo stesso Sennett, però, avvisa anche fin da principio che il suo lavoro non ha la pretesa dell’esaustività e deve essere integrato con gli sforzi dei sociologi che hanno puntato l’attenzione alle dimensioni macro-sociali del fenomeno. Ciò non significa che non vi sia sullo sfondo del lavoro di Sennett un quadro teorico: al contrario, i capitoli delle narrazioni sono intrecciati con capitoli di filosofia sociale e di teoria sociologica, infarciti con molti riferimenti, da Pico della Mirandola ad Adam Smith, da Kant a Weber, da Lippman a Saksia Sassen . E anche in queste parti il libro resta un'ottima lettura per comprendere come è cambiato il lavoro e quali conseguenze produce sulle nostre vite e caratteri.

di Manuel Antonini
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