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Lippmann e Dewey: riflessioni sull'opinione pubblica

L'autore ritiene che siano state proposte due principali soluzioni: da una parte quella che ha concepito un modello di rapporti umani in cui ogni persona aveva funzioni e diritti ben precisi. Si tratta delle prospettive che sottolineano l'ordine e l'organicità della politica (ad esempio quelle di Platone e Aristotele). Dall'altra quei filosofi che davano per scontato il conflitto e cercavano di capire come si poteva far uscire vincente la propria parte (si tratta delle posizioni di Machiavelli e Hobbes ad esempio).
In conclusione del libro Lippmann ribadisce la tesi già anticipata nell'introduzione, ossia che per la corretta formazione dell'opinione pubblica sia necessario un gruppo di esperti nei diversi campi (politica, giornalismo, statistica) in grado di offrire ai cittadini un'informazione che si avvicini il più possibile alla realtà. Così qualunque cittadino pur non conoscendo concretamente una realtà, può capire quali sono i fattori che concorrono a definire una scelta pubblica e può esigere che sia rispettata una metodologia scientifica. In sostanza l'autore auspica un controllo sulle modalità attraverso cui vengono elaborate le notizie che formano l'opinione pubblica; questa sembra essere l'unica possibilità di partecipazione, oltre all'esercizio del voto.
Come osserva Lasch, per Lippmann l'opinione pubblica è inaffidabile e in una società retta dall'opinione pubblica, quella del governo diventa l'arte della manipolazione. Nelle condizioni della società industriale dell'epoca, la partecipazione popolare al governo avrebbe portato soltanto anarchia e dominio delle masse. La gestione democratica del potere avrebbe dovuto cedere il passo a quella distributiva.
La democrazia avrebbe dovuto in pratica misurarsi sulla sua capacità di fornire ai cittadini certi beni e servizi essenziali e il problema del governo era quello di produrre benessere sociale, non di rispondere alle opinioni egoistiche degli uomini.

La risposta di John Dewey
In pochi si preoccuparono di mettere in discussione la teoria lippmanniana della passività della democrazia e dell'inutilità del dibattito pubblico. Solo John Dewey, filosofo e pedagogista statunitense, tentò di ribattere.
La lettura di Public Opinion e di The Phantom Public è all'origine della stesura di The Public and its Problems (1927), preceduta da due lunghe recensioni dedicate alle opere di Lippmann.
Dewey, come del resto Lippmann, vede la difficoltà di individuare nella democrazia americana un pubblico consapevole ed informato. Tuttavia secondo lui, le affermazioni di Lippmann potevano essere applicate soltanto a un concetto ottocentesco di democrazia e non erano più adatte alla società attuale.

In The Public and its Problems, Dewey condivide la visione pessimistica di Lippmann sulla realtà politica americana. Gli elettori hanno scarso interesse per i fatti su cui sono chiamati a votare. Ma quest'indifferenza non è da attribuire alla scarsa volontà dei cittadini, quanto a fattori oggettivi quali la complessità delle società contemporanee e la presenza di una molteplicità di altri interessi, che spostano la loro attenzione dall'interesse pubblico agli interessi privati e particolari. Il cittadino comune nella vita quotidiana è assorbito da una pluralità di impegni che lo allontanano dall'affrontare le questioni politiche.
Secondo Dewey "Il governo rappresentativo deve almeno dare l'impressione di essere fondato su pubblici interessi nella forma in cui essi sono rivelati dalla pubblica credenza. Sono passati i tempi in cui un governo poteva governare senza neppure pretendere di aver accertato il desiderio dei governati. (…) Oggi i giudizi che le masse si formano su questioni politiche rivestono una tale importanza, nonostante tutti i fattori negativi, che assumono una enorme rilevanza tutti i metodi che ne influenzano la formazione"7.
Per risolvere il problema del disinteresse dei cittadini Dewey non ritiene, come aveva ritenuto Lippmann, che la soluzione ideale sia affidare le decisioni che riguardano i cittadini a un'élites di esperti in quanto non può esistere l'individuo omni-competente. Secondo l'autore il problema può essere risolto soltanto migliorandoi metodi e le condizioni del dibattito.

Dewey ritiene opportuno, inoltre, distinguere le capacità dell'esperto da quelle del buon cittadino, che deve solo poter giudicare su argomenti di interesse comune.
Compito fondamentale di un regime democratico è trasformare l'uomo comune in cittadino informato. La formazione di un buon cittadino democratico dipende dalle possibilità che egli ha di venire a conoscenza dei fatti della realtà.
Per riuscire a comprendere l'importanza di un pubblico attento, informato e partecipe è necessaria un'opera di riorganizzazione del pubblico. Quest'ultimo deve prima di tutto riconoscere la propria esistenza e, in secondo luogo riuscire a capire il valore che potrebbe rivestire una sua attiva partecipazione nella vita della società.
Dewey riconosce un'importanza fondamentale ai gruppi. Secondo lui è necessario che le persone si riconoscano in gruppi in quanto questi sono in grado di fornire un'identità ai soggetti che lo compongono, di modo che nessuno si senta frustrato dalla ricerca della propria identità individuale. In secondo luogo è fondamentale che i gruppi vengano coinvolti nelle decisioni pubbliche che li riguardano, di modo che ognuno possa verificare se le decisioni prese comunemente rispecchiano realmente gli interessi di tutti.
Solo con il passaggio dalla grande società alla grande comunità sarà possibile la riorganizzazione del pubblico.

La grande comunità è per Dewey una società democratica in cui non vi siano ostacoli alla comunicazione umana. Tutto quello che ostacola e limita la diffusione delle notizie e la riflessione sulle questioni sociali, distrae l'opinione pubblica.
Dewey si distacca decisamente dal pessimismo lippmanniano sui meccanismi di informazione. La difficoltà di rendere accessibile al grande pubblico conoscenze di carattere tecnico-scientifico sarebbe risolvibile mediante il perfezionamento dei meccanismi di comunicazione e la creazione di nuovi segni e simboli aventi maggiore forza comunicativa.



6. Ibidem p. 120
7. Ibidem p. 120


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