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La carrozza della metropolitana, silenziosa e solitaria

1.1 Premessa

Intenzione della ricerca è sviluppare una breve analisi micro-sociologica dei modelli comportamentali ed interazionali dell’individuo all’interno delle carrozze ferroviarie delle tre linee metropolitane di Milano. Lo studio intende concentrarsi solamente nello spazio indicato, poiché estendere il lavoro ad un’osservazione dei luoghi annessi alla metropolitana (quali banchine e sezioni di ingresso), con le corrispondenti problematiche, comporterebbe un esame eccessivamente approfondito. Alla base della tesina vi è l’ipotesi che la carrozza metropolitana - in quanto crocevia di solitudini (ovverosia di percorsi individuali singoli), dove ogni individuo nel suo flusso di azioni lascia un’impercettibile scia di passaggio – sia a tutti gli effetti un micro-cosmo, un “laboratorio sociale” (usando un termine di R. E. Park) dove poter analizzare, come attraverso una lente di ingrandimento, le tendenze che più caratterizzano le forme di interazione della modernità. Ho esplicitamente inteso usare il termine modernità in luogo di post-modernità perché ritengo, nel contesto delle relazioni sociali e dei modelli d’agire, valida la tesi di Giddens per cui si debba parlare della nostra epoca come di una fase di maturità della modernità ( e delle sue tendenze ), piuttosto che di un superamento. Sullo schema delle opere degli autori del Dipartimento di Chicago si cercherà di dimostrare che i comportamenti rispondono a modelli sociali imposti dagli spazi urbani e dalle loro caratteristiche; che l’agire umano è tendenzialmente una risposta razionale alla situazione sociale e alla rappresentazione che della stessa ha l’attore ed, infine, che il nostro comportamento in metropolitana è generalmente cinico, strategico ed indifferente sia come risposta ad un contesto straordinario (poiché: da una parte i vagoni nelle ore di punta impongono una situazione che “rompe” i rituali e le regole convenzionali dell’interazione quotidiana e mette in moto meccanismi strategici di “disattenzione civile”; dall’altra la metropolitana è uno spazio di confine, di passaggio da una forma di socialità ad un’altra1, in cui si definiscono regole proprie a cavallo di contesti differenti), sia come ideal-tipo delle relazioni ordinarie. Così come Wirth intese guardare al ghetto quale modello valido per studiare le forme di segregazione, ugualmente tenterò di osservare l’agire in metropolitana come estremizzazione (per le condizioni imposte di forzata vicinanza ed in quanto momento di transito) di ciò che avviene ogni giorno fra individui estranei negli spazi urbani; ed in quanto estremizzazione, l’agire in metropolitana diviene così un momento per osservare sotto la lente d’ingrandimento come noi, oggi, ci relazioniamo con l’altro (sociale e non solo culturale) e le sequenze di mosse ammesse e non ammesse che regolano i nostri rapporti quotidiani.
Il titolo “La carrozza della metropolitana, silenziosa e solitaria” intende sottolineare il paradosso che è implicito nelle relazioni moderne e che la metropolitana, come momento dell’interazione quotidiana, ne è una rappresentazione esasperata: tanti più contatti, nella misura in cui essi divengono sempre più sfuggevoli, fanno sì che il senso di solitudine e silenzio sia più fortemente esperito quanto più siamo circondati da persone a noi estranee.
In questa prospettiva, verranno analizzati i rituali e le regole che strutturano il comportamento di chi utilizza la metropolitana; gli eventuali meccanismi messi in moto dagli individui per evitare il contatto con gli altri viaggiatori e la gestione della propria immagine (il vagone come ribalta, utilizzando un concetto di Goffman); i modi di disporsi all’interno della carrozza, che seguono precise mosse strategiche e le differenze intercorrenti, qualora ve ne fossero, fra le carrozze delle diverse linee.
La ricerca si compone poi di una seconda parte dove si tenterà di dipanare l’intreccio di solitudini che compone la carrozza del metrò presentando una tipologia (senza alcuna pretesa di esclusività e di rigore formale) delle “popolazioni” che sono presenti nel mezzo suburbano, e che ad esso danno una diversa attribuzione di senso (un differente frame o format).

L’analisi sarà centrata principalmente sulla “Linea Metropolitana M1” sia perché la prima ad essere costruita, sia perché la più utilizzata, sia perché la più conosciuta personalmente. Inoltre, come si vedrà successivamente, la cosiddetta linea “rossa” presenta, a causa della sua struttura, delle regolarità maggiori riguardo ai comportamenti e alle collocazioni degli attori sociali rispetto alle altre due linee.

1 M. Augé. Un etnologo nel metrò Elèuthera 1992


1.2 La struttura della ricerca

In breve, l’elaborato si articolerà elencando inizialmente quelli che sono i caratteri principali riscontrati del contesto metrò, per passare poi alla esposizione e alla interpretazione delle osservazioni raccolte sul campo della ricerca ed infine affrontare la classificazione delle popolazioni presenti nella carrozza metropolitana.
Una parte conclusiva sarà, invece, dedicata alle considerazioni finali.


2. I caratteri della metropolitana

Durante le osservazioni svolte sul campo nelle diverse carrozze del metrò sono venuti delineandosi delle caratteristiche ricorrenti del mezzo di trasporto suburbano.
Innanzitutto ciò che fortemente struttura il contesto studiato è la transitorietà (mutevolezza) e l’uniformità (reiterazione). All’apparenza contraddittori, i due termini applicati alla metropolitana definiscono chiaramente da una parte il continuo andirivieni che dà forma all’insieme dei passeggeri del mezzo, dall’altra la composizione simile che pare caratterizzare l’insieme stesso, seppure mutevole ad ogni fermata. I due processi possono essere assimilati, attraverso un gioco stilistico, a due ipotetiche dinamiche fisiologiche del mezzo suburbano. Si ha, così, il costante mutare e transitare dei passeggeri che permette alla metropolitana di avere senso come linea di trasporto cittadina e, allo stesso tempo, ogni modifica non è altro, in realtà, che l’esito di una reiterazione continua: infatti, le persone cambiano, ma a livello generale la composizione dei passeggeri pare non mutare mai. Questo insieme di processi può essere visto attraverso il concetto di riciclo, come la dinamica ecologica che da vita e significato a ciò che comunemente definiamo metropolitana.
Tuttavia, se ciò ha senso ad un livello generale, quando si scende su di un piano individuale il significato dei due processi che formano l’insieme dei passeggeri e l’insieme stesso assumono una diversa connotazione. Infatti la carrozza metropolitana è attraversata da una molteplicità di solitudini, da un costante flusso di percorsi individuali che si intrecciano, si sovrappongono e raramente coincidono. La carrozza, per tutti noi, è solo uno spazio di transito, un contesto di contatti fuggevoli e anonimi, un luogo di sosta in movimento che ci porta verso un punto di arrivo, un ambito di confine attraverso il quale passiamo da un ruolo ad un altro (casa-lavoro e viceversa, famiglia-amici etc.) ed in cui vigono regole e norme rigide non scritte e non definite chiaramente. L’incertezza che caratterizza l’interno della carrozza poi, è ancor più esasperata dalla mutevolezza dei suoi passeggeri. Ad ogni fermata, infatti, i presenti debbono ripristinare l’equilibrio socio - interazionale che la sosta ha infranto e compromesso (dato che altri sono entrati e altri usciti), attraverso l’adeguamento dei nuovi arrivati a quelle norme e regole sopra dette. Un equilibrio che, com’è evidente data l’assenza di norme esplicite e di qualsiasi controllo “esterno” (infatti non vi è alcuna telecamera installata all’interno della vettura), ha la caratteristica di essere imposto dalla presenza dell’altro sociale e dai suoi meccanismi di riprovazione morale.
Ad un livello individuale, dunque, il “traffico umano” che caratterizza la metropolitana crea sia una costante tensione nella singola persona sia condotte e schemi interazionali modello, riconosciuti da tutti e adeguati al fine di definire e mantenere l’equilibrio dinamico appena menzionato.
Tale insieme di meccanismi e di regole comportamentali saranno l’oggetto del prossimo paragrafo, dove inoltre i contegni e le interazioni verranno analizzati anche alla luce di quelle che sono le tendenze più diffuse nei modelli relazionali e comportamentali della quotidianità a cui si ispirano, come si vedrà.
Infine, un’ulteriore caratteristica del metrò è la condizione d’anonimato che le persone condividono all’interno della vettura, condizione che ha una certa influenza sulla gestione strategica dell’immagine sociale nei singoli individui. La carrozza, infatti, può essere definita altresì come una “ribalta” goffmaniana del tutto peculiare il cui contesto situazionale impone certe norme, come visto, ed in cui, però, l’anonimato intercorrente fra gli attori fa sì che non vi siano particolari interessi a fornire una determinata immagine di sé, se non quella di conformismo alle norme prevalenti. A tal proposito sono esemplificativi gli sguardi di complicità e di confidenza che si instaurano fra i presenti qualora salga sul mezzo suburbano un individuo che infrange, consapevolmente o meno, le regole condivise dai più, e quindi, riprendendo la definizione di norma durkheimiana, normali. Queste occhiate rapide intendono molto spesso confermare ciò che si condivide.
Oltre l’anonimato, a favorire una carente (ma non assente!) attenzione verso una particolare gestione dell’immagine sociale vi è pure la considerazione, esposta precedentemente, che la metropolitana si caratterizza come luogo fuggevole (i contatti con gli altri raramente durano più che alcuni minuti) e di scambio fra un ruolo e l’altro. In tal senso la vettura suburbana può definirsi un non-luogo (seppure, come si vedrà nella seconda parte, a persone diverse corrispondono format diversi e quindi attribuzioni di significato dissimili) in quanto non si gioca alcun ruolo particolare – anche se ciò non significa che non vi siano delle regole – e sempre in tale prospettiva la metropolitana si differenzia fortemente da un mezzo di trasporto ad essa affine quale il treno. In questo spazio, infatti, i contatti fra le persone, comunque transitori, sono nondimeno più prolungati e non di rado possono sfociare in relazioni permanenti che vadano oltre la circostanza del viaggio (ossia mentre è quasi impossibile stringere relazioni in metropolitana che siano poi conservate anche nella vita di tutti i giorni, altrettanto non si può dire per il viaggio in treno).
Per concludere è necessario aggiungere che l’anonimato rafforza quel senso di incertezza che si genera fra i passeggeri, in quanto chi sale è per noi uno sconosciuto e solo attraverso rapidi giudizi (euristiche) è possibile decifrare che tipo di persona sarà e dedurre se il suo comportamento sarà più o meno adeguato.
E’ bene, inoltre, precisare che questa tensione verso l’equilibrio è tanto più sentita nei momenti di maggiore afflusso delle persone in metrò, dunque presso le fermate centrali delle linee metropolitane quando la situazione, per la presenza di molti utenti, esce totalmente fuori da qualsiasi possibile controllo individuale. Ciò non significa che la permanenza in metrò, durante il viaggio lungo le fermate periferiche, non sia segnata da norme comportamentali e interazionali; tuttavia esse divengono meno rigide.

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