Nel suo libro “Stati di pace. Una sociologia dell'amore”, il sociologo francese presenta la sua analisi della morale entro un percorso di studi complesso e articolato tratto dalla sua opera più completa "L’amour et la justice comme compétences", di cui Stati di pace ne rappresenta solo un capitolo.

Iscrivendosi nella tradizione sociologica francese che ha guardato sempre con interesse alla dimensione morale nello studio della società, Boltanski si avvicina all'analisi della morale concordando con Durkheim sulla sua necessaria presenza nella vita sociale: egli condivide con lui l’esigenza “di reinserire, nello studio dell’azione delle persone in società, le ragioni d’agire e le esigenze morali che esse si danno, o che vorrebbero darsi, non fosse che a titolo di ideali”.
Secondo Boltanski è dunque fondamentale per la sociologia studiare un elemento che ha tanta importanza nella continuità della società, la morale, e capire dove nasce e quale forme essa assume.

E per fare questo nel suo approccio si allontana fin dall'inizio dalla relazione durkheimiana tra società e morale: Boltanski, infatti, cerca di presentare, all'interno di uno schema di classificazione delle azioni, una dimensione della morale fondata sul concetto di amore cristiano, ossia l'agape, senza legarla alla dimensione sociale come fece Durkheim. Per Boltanski la società non è la fonte esclusiva del comportamento morale e non ne è l'oggetto: al contrario, riprendendo il contributo di filosofi quali Lévinas e MacIntyre, egli ritiene, in accordo con Bauman, che la dimensione morale non abbia fondamenti, come al contrario ricercava l'etica illuministica, ma si fondi piuttosto sull'azione quotidiana che si fa carico dell'altro.

In tal modo il giudizio morale non è il riflesso di una sovrastruttura né di una società sui generis, bensì è un’espressione, forse la più interessante, della condizione antropologica legata, ancora prima che alla filosofia o alla teologia, all'esperienza quotidiana dell’essere umano. Fondamentali, dunque, nello studio morale di Boltanski sono la dimensione pratica (intesa sia come azione che come quotidiano) e relazionale: la morale deve essere studiata come azione, come questione pratica legata alla complessità della vita di ogni giorno cercando di porre così in rilievo le pratiche dei soggetti che quotidianamente costruiscono e negoziano i significati di riferimento delle proprie azioni, anche quelle morali.
In Stati di pace assume una posizione centrale proprio questa “discussione pratica”, nella quale vengono definiti i punti di vista morali degli attori sociali e le argomentazioni valide a sostenerli.

L’approccio di Boltanski è dunque un approccio costruzionista (ossia i significati sociali sono esito di una continua negoziazione, come sostiene Berger) ispirato alla lunga tradizione fenomenologica francese che va da Focault fino a Bourdieu.

Nei primi capitoli del libro Boltanski propone il contesto teorico e analitico più ampio in cui si inserisce lo studio della morale come particolare tipo di azione nelle relazioni umane, come forma dell'interagire umano.
Per riferirsi a queste forme del vivere con gli altri, Boltanski parla di regime d’azione distinguendo tra regimi di disputa e regimi di pace.

Nei primi egli suppone esista una discussione tra le diverse prospettive degli attori. Nei regimi di disputa le persone “motivano la propria azione, mettono in opera il proprio senso di giustizia, avanzano delle giustificazioni”.
Ai regimi di disputa si contrappongono i regimi di pace: ”nel corso della vita sociale non siamo, in effetti, senza sosta nella disputa”. Le relazioni possono svilupparsi a volte in modo del tutto pacifico, senza che vi sia la necessità di mettere in confronto le proprie prospettive e, quindi, di sviluppare delle sequenze di critiche.

Un secondo parametro dei regimi di azione trasversale alla distinzione appena citata è, per Boltanski, la messa in equivalenza. La messa in equivalenza è un concetto fondamentale nell’opera del sociologo francese in quanto costituisce un'importante distinzione all’interno dei regimi stessi di disputa e di pace. Il concetto intende definire la possibilità di attivare un rapporto nel quale due oggetti possono essere ravvicinati, comparati e gerarchizzati tanto che è possibile affermare "A è superiore o inferiore a B" o " X equivale a Y".

Dall’incrocio delle due distinzioni – disputa versus pace; equivalenza attivata versus equivalenza non attivata – è possibile per Boltanski definire le forme attraverso le quali gli individui entrano in relazione tra loro, in sostanza, l’essere con gli altri.
Più precisamente, i regimi d’azione così identificati risultano essere quattro: in primis, il regime d’azione in giustizia (un regime di disputa in cui gli individui si “scontrano” sui loro significati di giustizia e di realtà attraverso la logica della messa in equivalenza); il regime della violenza (un altro regime di disputa dove le prospettive di giustizia si scontrano senza attivare alcuna messa in equivalenza); il regime di routine (un regime di pace dove non vi sono sequenze di critiche, per cui la pace può essere vista come il risultato di un’accettazione passiva e, in qualche modo, pre-riflessiva, delle forme di equivalenza tacitamente iscritte nell’ambiente sociale) e il regime dell'agape.

Quest'ultimo è il regime di pace dove sono attivamente scartate le possibilità di messa in equivalenza fra gli oggetti della relazione e, in particolare, fra le persone. In questo regime, la questione della giustizia non si pone, in quanto essa presuppone sempre una simmetria, una messa in equivalenza che, al contrario, in un tale modo di interagire non è presente. All’interno di un tale regime, allora, le persone sono al riparo dal giudizio e le azioni non sono misurabili in termini di calcolabilità (che le scienze sociali hanno identificato nell’interesse e che Bauman accusava essere il principio ispiratore di ogni possibile legame tra gli io "nell’essere con" della società) in quanto il calcolo suppone un accordo più o meno tacito su standard e criteri attraverso i quali tracciare il rapporto tra gli elementi che intercorrono.

La classificazione di Boltanski, oltre ad essere affascinante per la sua originalità e per la sua esaustività nell’afferrare le varie forme attraverso le quali le relazioni tra gli esseri umani possono compiersi, è interessante in quanto riconosce un posto nell'interagire quotidiano ad un'azione morale intesa come perdita di senso dell’idea “di sottoporre la reciprocità delle relazioni e dei contributi ad un giudizio basatosi su una valutazione più o meno rigorosa”. Ciò significa introdurre una possibilità in sociologia per l'azione disinteressata, che non adotta un criterio del calcolo e dell'interesse per rapportarsi all'altro, che riconosce nell'essere umano un fine e non un mezzo.

Nei successivi capitoli Boltanski approfondisce il significato di agape definendola come l’incontro con l’”uomo che si vede”. Con tale definizione, incontrare “l’uomo che si vede”, concetto mutuato dalla filosofia di Kierkegaard, il sociologo francese vuole intendere un amore verso l’altro che non si curi dell’idea immaginaria su come si crede debba essere, o si vorrebbe che fosse, l’altro.
In altre parole, l’agape viene qui declinato in amore verso il prossimo che si contraddistingue in quanto il prossimo non è l’altro vicino socialmente o fisicamente, ma è l’individuo che si incontra sul proprio cammino.

Per Boltanski, la relazione morale intesa come agape, proprio come la responsabilità morale in Bauman, non essendo poggiata sul calcolo non si cura dell'aspettativa di reciprocità. “L’attore in stato di agape, non modellando la sua condotta sulla base della rappresentazione fattasi della risposta dell’altro al suo atto e non incorporando nei suoi atti la risposta anticipata di colui al quale si rivolge, non affronta la relazione con l’altro come una sequenza di mosse e di contro-mosse, diversamente da tutte le moderne teorie dell’azione”.

Nella relazione morale così intesa, l'individuo si pone in uno stato di apertura totale verso l’altro. In tal senso l’agape di Boltanski è quel tipo di amore che Bauman definisce carezza e che, a differenza dell’eros, è dono senza contro-dono, è stendere la mano senza aspettarsi che altrettanto faccia l’altra persona.

Per tutti questi tratti, l’agape assomiglia molto all’impulso morale baumiano, ma vi è un punto discordante tra i due approcci: a differenza della proposta baumiana, Boltanski non pone l’agape al di fuori "dell’essere con gli altri" come faceva Bauman, il quale riteneva l'impulso morale come uno slancio che sta prima (inteso come “meglio”) dell'ontologia. Infatti, l’agape, il trascendere la messa in equivalenza e farsi carico dell’altro, diviene una forma di relazione, una competenza che gli individui possono mettere in atto nell’interagire quotidiano, e non come sostiene Bauman una trascendenza della relazione con l’altro in sé in quanto una tale relazione in società si poggia necessariamente sulla simmetria.
Per Boltanski l’agape è il risultato del vivere con gli altri, è un regime d’azione che abita l’ontologia, la quale non è così monopolizzata solo dalla simmetria e dal calcolo. Come dice lo stesso Boltanski: “a me pareva che fosse necessario riservargli un posto, non solo per ragioni formali – assicurare la simmetria del modello dei regimi d’azione – ma anche per rendere intelligibili molte situazioni, di brevissima durata, in cui la logica dell’interazione non era guidata da un calcolo senza per questo oscillare nella violenza”.

Boltanski conclude consapevole che lo spazio di un regime d’azione così definito non trova molto posto nel vivere con gli altri: l’agape è un caso teorico ancor prima che pratico che trova difficile realizzazione nella realtà empirica. Tuttavia, essa può costituire un punto di riferimento sia per l’agire dell’individuo, sia per l’osservatore chiamato a rendere conto di situazioni a volte inspiegabili.
Inoltre l’agape, essendo incapace di misurare e calcolare, non può progettare e non può progettarsi: ha gli occhi chiusi verso il futuro e un carattere eminentemente pratico e quindi subito pronto a decadere appena compare. Data la sua instabilità e convergenza con il presente, Boltanski crede che, sociologicamente, forme di organizzazione sociale basate sull’agape non possano essere escluse, purché siano pensate nei termini di una sorta di effetto di composizione, ossia qualcosa che vada oltre l’intenzione costruttiva per costituirsi come un mosaico improvviso e imprevedibile, il risultato dell’interagire umano.

Pur non potendo essere l’oggetto di un qualche programma politico e difficilmente si traduce in forme sociali concrete, essa non è né neanche un’utopia attiva, ma un modello di socialità, un modello di relazionarsi all’altro, una forma del vivere con l’altro che, insieme agli altri regimi d’azione, permettono all’individuo di costruire un ordine sociale ambivalente dove i significati sono continuamente rinnovati dalle pratiche.

Così facendo, in "Stati di pace" Boltanski trova una conciliazione alla dicotomia creatasi in sociologia tra individuo e società nello studio della morale: l'agape è uno spazio dove l’individuo può aprirsi all’ordine sociale senza perdere nulla della sua unicità, anzi incontrandola e nella dinamicità delle relazioni stimolarne continuamente il cambiamento.
E ancora più importante, alla ricerca di "una sociologia dell'amore", come lui stesso afferma nel titolo, Boltanski si ritrova a costruire un paradigma concettuale dove il gesto altruistico ha lo stesso spazio della relazione di violenza o di negoziazione, uno spazio più esiguo e incerto, ma comunque uno spazio che l'essere umano e la collettività può coltivare ma non progettare.
Comunque, ci ammonisce il pensiero etico post-moderno di cui lo stesso Boltanski fa parte, l'importante è non chiedere il perché coltivarlo, ognuno deve rispondere da sé.


Tutte le citazioni dell'articolo sono state tratte dal libro “Stati di pace. Una sociologia dell'amore” L. Boltanski, Vita e Pensiero, 2005


di Manuel Antonini