Ernesto De Martino (1908-1965) etnologo - come amava definirsi - e storico delle religioni, è considerato l'esponente più illustre dell'antropologia culturale italiana del Novecento: il suo pensiero è caratterizzato dal costante richiamo alla filosofia di Benedetto Croce (1856-1952) dal quale ereditò l'indirizzo storicista. Egli pensa, infatti, non sia possibile ridurre l'esperienza umana ad un'indagine di tipo "scientifico": mentre le scienze sono "pseudo-conoscenze" destinate ad avere semplici applicazioni pratiche ed utilitaristiche, la vera conoscenza è solo ed esclusivamente storica, intendendo per "storia" una conquista di livelli di autoconsapevolezza sempre maggiori.

De Martino difende lo storicismo crociano fino all'ultimo, sviluppandolo e integrandolo con altri aspetti: estende la filosofia crociana oltre il suo ambito tradizionale, ad esempio alla religione e all'etnologia ed è molto critico nei confronti del "naturalismo" dell'antropologia francese (di Durkheim) e britannica (di Malinowski). Ciò che più rimprovera a questi due indirizzi è l'incapacità di rendere l'idea della dimensione storica dei fenomeni culturali tipici dei popoli primitivi: essi forniscono sì semplici descrizioni dei propri oggetti, ma non di quegli elementi che permettono una loro piena comprensione.
De Martino pur seguendo Croce nella sua metodologia, se ne allontana per il progetto che intende realizzare: riguardo al problema della presunta o meno realtà dei poteri magici, egli presto si rende conto che una realtà storica come quella del mondo magico non può essere compresa "dall'esterno e dall'alto" ma soltanto "dall'interno". Appare allora centrale, al fine di comprendere l'universo magico, l'analisi della costruzione della realtà magica, la quale ruota intorno al concetto di presenza: questa, intesa come "esserci nel mondo", è uno stato che l'uomo si sforza di costituire per sfuggire all'idea insopportabile del non-esserci; si parla di crisi della presenza ed il riscatto dalla crisi è attuato attraverso il rituale magico-religioso che permette così il suo superamento.

Attraverso un'ampia casistica etnografica, De Martino descrive l'emergenza del magismo come un primo tentativo dell'uomo di affermare la propria presenza nel mondo: la magia si configura non come una semplice risposta allo stress emotivo procurato da situazioni dall'esito incerto, ma come una lotta intrapresa dagli esseri umani per esistere. Il cosiddetto "dramma storico del mondo magico", cioè questa travagliata conquista della presenza, non è qualcosa di definitivo perché si possono verificare casi in cui questa viene a mancare e può esser rimessa in discussione da crisi individuali o comunitarie. In quest'ottica lo stregone finisce così per essere considerato "l'eroe della presenza", colui che all'interno della tribù, poiché dotato di particolari facoltà, può entrare in contatto con il sovrasensibile ed ha le capacità di risolvere i problemi collettivi: l'atto magico da lui compiuto (ad esempio la seduta sciamanica), è attinto dalla memoria storica nella quale le esperienze individuali sono diventate ormai tradizione conservata e tramandata.
In particolare, De Martino affronta il ruolo della magia nelle società primitive e la ricostruzione della "struttura" di quel mondo magico: per lui la comprensione di un'era magica rappresenta la condizione di comprensibilità dell'era presente. Si avvicina così allo studio dei fenomeni magico-religiosi del Mezzogiorno italiano e, con una serie di missioni etnografiche, raccoglie documenti relativi a manifestazioni magico-religiose, studiandone le origini ed i rapporti con le condizioni storico-sociali. Il perdurare di rituali e credenze è interpretato come l'espressione di una concezione del mondo di una società rimasta per secoli nell'isolamento: la miseria culturale sarebbe lo specchio di una miseria psicologica determinata a sua volta da condizioni storico-sociali imposte nel Mezzogiorno ed il folklore religioso è il riflesso della "non storia" del sud e della sua continua repressione subita.

Le sue esperienze di ricerca sul posto avviano la riflessione sul tema dei rapporti tra soggetto conoscente, l'etnologo e l'oggetto della conoscenza, le comunità e gli individui studiati. Egli è consapevole del fatto che tale rapporto non è neutro e che l'etnologo tende ad interpretare le altre culture attraverso griglie interpretative costituite da propri parametri e pregiudizi culturali: si fa così promotore di una forma di etnocentrismo critico inteso come sforzo di allargamento della propria coscienza culturale di fronte alle "altre" culture e come presa di coscienza dei propri limiti. Solo attraverso ciò, si può realizzare per lui, il cosiddetto umanesimo etnografico: esso implica un'opera di storicizzazione di sé e della propria cultura, di autocritica, in base ad un confronto storico-culturale, senza rinunciare comunque all'idea del primato e della superiorità della civiltà occidentale (visione eurocentrica).
In generale il mondo scientifico occidentale è sempre stato fortemente scettico nei confronti della realtà delle pretese magiche, anche quando queste si sono manifestate in modo evidente: esso ha avuto sempre la tendenza a considerare le proprie categorie storiografiche quasi dei paradigmi assoluti. Ciò non ha portato ad alcuna definizione positiva del magismo poiché gli è stato negato qualsiasi carattere di storicità e perché le categorie utilizzate nel giudizio storico non sono state in grado di definire il mondo magico. Gli atti e le tecniche utilizzate dagli stregoni, in effetti, pongono l'etnologo di fronte ad una serie di pratiche come dialoghi con i morti, possessioni, guarigioni, lotte con spiriti ed il dubbio sull'effettiva realtà di ciò che si osserva è costante.

De Martino, al quale si riconosce il merito dell'indagine interdisciplinare, chiamando in causa la psicanalisi e la parapsicologia ha comunque dimostrato che determinati poteri paranormali esistono realmente e sono scientificamente riscontrabili in alcuni soggetti. I risultati ottenuti hanno infatti reso evidente sia la realtà delle percezioni extrasensibili di soggetti (chiaroveggenza) e di stati mentali (telepatia), sia la possibilità di estendere i poteri fisici al di fuori del proprio corpo (ad esempio con la levitazione degli oggetti, la telecinesi).
Egli ha analizzato le singolari condizioni psichiche in cui spesso cadono gli indigeni di alcune tribù per determinati periodi di tempo, in occasione di emozioni intense provocate da accadimenti inaspettati o da forti cariche emotive. Si tratta di stati psichici (chiamati olon, latah, amok) in cui si verifica il dissolversi della presenza e crolla la distinzione tra questa e il mondo. Così come l'olonizzato invece di vedere le foglie di un albero agitate dal vento, diviene egli stesso l'albero e le foglie, così gli individui affetti da schizofrenia, non avvertono più alcuna distinzione tra l'Io e il mondo, tra il soggetto e l'oggetto e si trovano a vivere in un mondo dai confini incerti e senza possibilità di riscatto.
Per questo motivo De Martino attribuisce molta importanza al tema "della perdita della presenza" (intesa come uscita dalla storia): nel magismo la presenza che si va riscattando, fa parte di un mondo culturale all'interno del quale la crisi è originata e controllata con la ripetizione di gesti e tecniche che costituiscono un patrimonio collettivo e storico; quando la crisi sembra essere invece senza un orizzonte culturale di riferimento, come nel caso della schizofrenia, l'uscire fuori dalla storia e quindi l'impossibilità a sfruttare le tecniche magiche, comporta la perdita di ciò che più serve a riscattare la presenza: l'individuo alienato è incapace di re-inventare tutto quel mondo culturale che sarebbe necessario per vincere la crisi.

Stefania Simone

Articolo tratto dalla tesi Le teorie etnoantropologiche relative ai concetti di magia e stregoneria