Il fenomeno delle comunità virtuali ha assunto oggi dimensioni planetarie e ha attirato l'attenzione di sociologi, antropologi, psicologi sociali, che ne hanno studiato i diversi aspetti. Essi hanno messo in luce, ora, le grandi potenzialità sociali di un mezzo che permette l'interazione tra persone molto lontane, ora, i rischi legati alla socialità fluttuante e spersonalizzata tipica del ciberspazio. Si tratta di un dibattito complesso e articolato, che ha visto avvicendarsi varie interpretazioni del fenomeno e che non ha raggiunto, fino ad oggi, un accordo unanime sulla definizione di comunità virtuale.

Una definizione di riferimento è quella data dalla studiosa americana Ann Beamish, secondo la quale comunità virtuale è un gruppo di persone caratterizzato da un mezzo di comunicazione elettronico condiviso dai partecipanti, dall'informazione comunitaria, dalla discussione su temi precisi e dall'irrilevanza della locazione geografica dei partecipanti1. Questa definizione evidenzia l'aspetto tecnico, trascurando ciò che permette di parlare di comunità, piuttosto che di aggregato: il senso di appartenenza, un corpo di valori e un sistema organizzativo condivisi.

Al contrario, Howard Rheingold, analizza le comunità virtuali da un punto di vista più sociologico, mettendo al centro del suo studio la comunione che lega i gruppi telematici. Lo studioso americano attribuisce alle comunità virtuali tre tipi di beni collettivi, che ne costituiscono il patrimonio sociale: il capitale sociale di rete (la capacità di essere accolti nei luoghi del ciberspazio), il capitale di conoscenze (il patrimonio di competenze, abilità e saperi messi in comune) e la comunione sociale (il senso di prossimità e condivisione che permea le comunità virtuali)2.
La definizione che l'autore propone nel suo libro Comunità virtuali, però, non rende merito all'interesse per quest'ultimo aspetto. Egli definisce le comunità virtuali "nuclei sociali che nascono nella rete, quando alcune persone partecipano costantemente a dibattiti pubblici e intessono relazioni interpersonali"3. A dispetto di questa definizione giudicata semplice e generica, la visione di Rheingold sull'interazione attraverso internet, è quella di un luogo di socialità, creatività e scambio disinteressato, utopisticamente proteso verso una forma di democratica comunità originaria.
Questo punto di vista è stato accusato di eccessivo ottimismo, probabilmente collegato alla fiducia molto ampia che Rheingold ripone nella tecnologia informatica, come mezzo di miglioramento del sistema democratico. D'altra parte, è lo stesso Autore a mettere in guardia dall'apparenza democratica che può nascondere dei rischi, la soluzione da lui proposta è un'attenta educazione allo spirito critico verso le tecnologie.

Altri autori hanno messo in dubbio il valore sociale dei gruppi di relazione che s'incontrano in un contesto non territoriale, com'è quello di internet, mediante l'interfaccia del computer (con tutte le conseguenze comunicazionali che tale mediazione porta con sé), pertanto le comunità virtuali hanno incontrato da più parti reticenze nel loro riconoscimento come forme di socialità reale. L'idea di comunità virtuale è stata contrapposta ai rapporti faccia a faccia, come loro antitesi, e accusata di mettere in pericolo l'identità personale e i rapporti sociali.
Dal quadro d'insieme fin qui descritto, prende forma un panorama scientifico controverso riguardo alla definizione, al valore e al ruolo delle comunità virtuali nella società della comunicazione.

Note bibliografiche
1 Beamish A., (1995), Communities On-Line: Community-Based Computer Networks. Tesi di Master in City Planning, Department of Urban Studies and Planning, Massachusetts Institute of Technology.
2 Rheingold H., (1994), Comunità virtuali, Sperling & Kupfer, Milano; vedi anche: (2000), Tools for Thought, MIT press, Cambridge
3 Cfr. Rheingold H., op. cit.

Cristina Lombardo
Articolo tratto dalla tesi Oltre lo schermo. Uno studio sulle relazioni sociali nelle comunità virtuali di gioco di ruolo online