Che faccio per cambiare le abitudini di questi ragazzi? Di questi, e sono i più, che se non imparano qui non c'è altrove che faccia scoprire loro il piacere di leggere? Non te lo so dire, non me lo ricordo. Ogni caso è un caso a sé. Intanto li ho messi in un classico 'doppio vincolo': leggere è un piacere/leggere è un obbligo. Ma gli esseri umani, anzi ogni creatura vivente - come ci ha insegnato Bateson - vive perennemente in doppi vincoli, e se la cava.1

Anche se Bateson si è raramente riferito in modo esplicito alla pedagogia o a discorsi mirati alla formazione, le sue idee e il suo metodo di pensare (metaloghi, conversazioni, storie, narrazioni) possono rivelarsi risorse euristiche per tutti coloro che, invece, proprio alla formazione rivolgono il loro interesse e la loro professionalità.
Lo scarso riconoscimento accademico del pensiero di Bateson, che, oltre ad averlo segnato durante la vita, sembra caratterizzarlo anche dopo la sua morte, è confermato dal riscontro che nei manuali di scienze dell'educazione il suo nome è raramente incluso e il suo pensiero è usurpato da pedagogisti che lo utilizzano in modo improprio, riducendone la portata epistemologica.

Il pedagogista potrà forse servirsi del Bateson che delinea i 'livelli' dell'apprendimento […], amando le prescrizioni che rapidamente sa trasformare in sequenze lineari. Oppure, costui, potrà mostrare un interesse vivido per il Bateson 'relazionista', nutrendo, in tal caso, nostalgie per l'empatia rogersiana […]. O, ancora, se al pedagogista fosse toccato in sorte di scoprire, tra le altrui carte, l'ecologia sistemica, potrebbe essere affascinato dai discorsi di Bateson sull'organizzazione della mente come realtà immanente al mondo della Creatura o come metafora dell'esistente. In quest'ultimo caso, il pedagogista sarebbe affascinato dalla possibilità che la sua azione possa trovare una organizzazione cognitiva utile a organizzare il mondo: in base a un modello formale […]2.

Al di là di questi possibili fraintendimenti, il motivo dell'assenza del nome Bateson nei manuali pedagogici potrebbe trovare le sue origini nel paradigma dell'intenzionalità in merito al quale il punto di vista batesoniano è apertamente in antitesi con quello pedagogico. In effetti, quest'ultimo è per convenzione attento in particolar modo proprio alle azioni intenzionali, premeditate e progettate nel loro compiersi per provocare, o almeno così dovrebbe essere, quei cambiamenti per cui sono state messe in atto. Al contrario Bateson, prende esplicitamente le distanze da questa posizione e ne mette in evidenza i rischi impliciti. Le parole della figlia M. C. Bateson possono confermare ulteriormente quanto abbiamo già ampiamente dimostrato fino ad ora:

Per Gregory, l'azione era qualcosa di molto problematico […], ne aveva diffidato per tutta la sua vita, sospettando in particolare che tutti i nostri tentativi di miglioramento sfociassero, in definitiva, nell'aggravare le cose […]. Gli sforzi deliberati di certe persone di creare i doppi vincoli in terapia, di apportare una soluzione ai problemi del doppio vincolo, o di cambiare le persone, nella situazione terapeutica, agendo su di esse, gli sembravano inquietanti, perché egli riteneva che, quali che fossero le intenzioni su cui si fondassero questi tentativi, questo genere di interventi e di manipolazioni sfociano alla fin fine nell'aggravare la situazione di partenza.3

Secondo le indicazioni della figlia, tale convinzione paterna ha origine nell'esperienza di Bateson presso l'Office Strategic Services degli Stati Uniti, durante la seconda guerra mondiale, quando gli fu affidato l'incarico dall'esercito di manipolare i processi di comunicazione per disinformare e confondere il nemico, azioni affatto terapeutiche, quanto invece volte ad aggravare la situazione di altri esseri umani. Al di là di questa supposta spiegazione, resta il fatto che egli, benché si fosse sottoposto ad un'analisi junghiana, nutriva una certa avversione per la psicoterapia, e nell'ultimo metalogo di Dove gli angeli esitano, Un'ombra ostinata, ne possiamo leggere una testimonianza in una battuta pronunciata da Bateson stesso: "Pensa a quell'orribile faccenda che è la terapia familiare con i terapeuti che fanno interventi paradossali per modificare le persone e le famiglie"4.
Anche se in queste righe il rimprovero e la disapprovazione sono rivolte alle pratiche terapeutiche (in particolare della scuola di Palo Alto che pure da lui aveva preso avvio), a un altro livello di analisi, il bersaglio di Bateson è l'epistemologia sottostante ad esse. Illuminante a tal proposito è ciò che egli afferma nel 1974:

Se il terapeuta cerca di prendere un paziente, di assegnargli degli esercizi, di sottoporlo a propaganda, di farlo ritornare nel nostro mondo per i motivi sbagliati, insomma se cerca di manipolarlo, allora sorge un problema: la tentazione di confondere l'idea di manipolazione con l'idea di cura.5

L'avversione di Bateson sembra essere evidentemente indirizzata a qualsiasi tipo di intervento manipolativo e tecnicistico fondato sul primato della finalità cosciente, il cui proposito è quello di cambiare le persone intervenendo su di esse, non tanto alla psicoterapia in se stessa. L'attacco batesoniano, posto in questi termini, si amplifica fino a coinvolgere le premesse epistemologiche di qualsiasi scienza umana intenzionata a manipolare gli individui, comprese quelle di una pedagogia rifugiatasi nel positivismo più estremo e dedita ad "una forma particolare di intenzionalità: quella osservabile e misurabile, prodotta e controllata dall'intenzionatore - educatore"6, a discapito di quella dell'interlocutore che "si trova così ad essere 'detto', 'spiegato', 'agito', fino al quasi totale annullamento della sua autonomia."7
Una raffigurazione ingenua, questa, dell'accadere educativo e formativo ancorata all'idea che le informazioni dell'insegnante transitino sugli allievi, e che compito dell'insegnante sia la rigida programmazione delle lezioni e la scansione dei contenuti. Paradossalmente, infatti, sembra essere ovvio che l'insegnante e suoi allievi costituiscono un solo contesto di apprendimento e che congiuntamente scrivono la loro storia; tuttavia è meno scontato che un insegnante e uno studente pensino se stessi come definiti dalla relazione che li comprende, ovvero che non si può insegnare se non in relazione con persone che imparano. Bateson ci ricorda che "negli anni sessanta gli studenti lottavano per la 'pertinenza' [e che] un qualunque A è pertinente a un qualunque B se A e B sono entrambi parti o componenti della stessa storia."8

Attori e scrittori di una stessa storia, educatore e allievi non possono pensarsi come delle monadi isolate che evolvono singolarmente, ma come parti di un sistema e che, come tali, coevolvono. In termini scientifici, l'evoluzione e la coevoluzione riguardano le popolazioni di individui, le specie, mentre gli individui sono interessati dai fenomeni della crescita e dell'apprendimento; ma, utilizzati in modo non scientifico, sono termini per una bella e chiara metafora di ogni processo di apprendimento.
In ogni processo evolutivo, infatti, agiscono due vincoli: un vincolo interno che è determinato dall'esigenza di mantenere coerenti le premesse (la coerenza è garantita dal patrimonio genetico che mantiene costanti le caratteristiche della specie durante la crescita degli organismi), e un vincolo esterno, in questo caso l'ambiente, che costringe a dei cambiamenti, a elaborare soluzioni creative nell'adattamento. Ogni organismo, quindi, quando evolve e quando apprende deve affrontare due ordini di problemi: deve decodificare le nuove informazioni e modificazioni provenienti dall'ambiente esterno e ad esse rispondere con un comportamento adattativo che talvolta richiede un cambiamento delle proprie premesse.
Nella relazione educativa sia l'insegnante che l'allievo sono portatori di una propria epistemologia personale, ma devono anche necessariamente e reciprocamente essere vincolati alle premesse dell'altro per poter promuovere processi di apprendimento e di crescita culturale. In questo senso ogni processo di cambiamento è coevolutivo ed è pura illusione ostinarsi nel migliorare programmi finalizzati agli studenti per rendere migliori gli interventi educativi in una logica lineare e unidirezionale. Inoltre, se all'idea di coevoluzione come chiave per interpretare la relazione insegnamento – apprendimento, proviamo a giustapporre l'autopoiesi, idea sviluppata agli inizi degli anni ottanta del Novecento dai biologi cileni Humberto Maturana e Francisco Varela, si ottiene una ulteriore conferma che gli sforzi degli insegnanti sono vani se indirizzati a mettere a punto rigide e meticolose pratiche educative centrate sull'idea che il sapere viene travasato da chi sa a chi non sa.

L'idea centrale dell'autopoiesi è che il cambiamento cui va incontro un organismo vivente ( e che possiamo considerare come apprendimento ) può essere innescato ma non determinato dall'ambiente. Gli stimoli provenienti dall'ambiente perturbano il sistema vivente, spingendolo fuori dal suo stato di equilibrio omeostatico e costringendolo a ristrutturazioni della propria organizzazione, ma la forma di queste ristrutturazioni dipende dalla identità del sistema, perché mantenere la propria identità, ovvero la propria organizzazione (ciò per cui si è ciò che si è) è la prima legge di sopravvivenza del vivente. […] Se esiste un dominio di interazioni, cioè un campo di influenze reciproche capaci di innescare ristrutturazioni che non distruggono l'identità del sistema, ovvero la sua organizzazione, tra l'organismo e il suo ambiente si realizza un accoppiamento strutturale. […] e l'accoppiamento strutturale è la base per una co-evoluzione tra organismi.9

È allora lecito, proseguendo con il nostro ragionamento analogico tra psicoterapia ed educazione, interrogarsi sulla possibilità di pianificare doppi vincoli, in ambito formativo, come strategie di apprendimento, ovvero strumenti metodologici per innescare dei cambiamenti? Sembra evidente che il disaccordo espresso da Bateson nei confronti di coloro che pianificano dei doppi vincoli terapeutici in vista di uno scopo ben specifico possa essere trasposto anche verso coloro che pensano di poter attivare fenomeni di apprendimento predisponendo situazioni doppio vincolanti. Qualsiasi doppio vincolo educativo progettato a priori, infatti, è connotato inevitabilmente dall'intenzionalità perché direzionato verso l'esito prestabilito per cui è stato formulato ed è assimilabile ad una manipolazione.
Tuttavia, mantenendo fede al pensiero batesoniano e, in particolare, all'idea che siano proprio i doppi vincoli in qualità di generatori di conflitti cognitivi a introdurre le fratture, le differenze che creano apprendimento, essi non possono essere trascurati da coloro che hanno deciso di dedicarsi professionalmente ai processi educativi, sia in qualità di insegnanti, sia di educatori, sia di formatori.


Note bibliografiche
1 Conserva R. - Bagni G., 2005, Insegnare a chi non vuole imparare. Lettere dalla scuola, sulla scuola e su Bateson, EGA, Torino.
2 Manghi S., (a cura di) 2002, Attraverso Bateson. Ecologia della mente e relazioni sociali, Raffaello Cortina Editore, Milano.
3 Manghi S., (a cura di) 2002, Attraverso Bateson. Ecologia della mente e relazioni sociali, Raffaello Cortina Editore, Milano.
4 Bateson G. - Bateson M.C.,1987, Angels Fear. Towards an Epistemology of the Sacred, The Estate of Gregory Bateson; tr. it. di G. Longo, Dove gli angeli esitano. Verso un'epistemologia del sacro, Adelphi, Milano, 1989.
5 Madonna G., 2003, La psicoterapia attraverso Bateson. Verso un'estetica della cura, Bollati Boringhieri, Torino.
6 Manghi S., (a cura di) 2002, Attraverso Bateson. Ecologia della mente e relazioni sociali, Raffaello Cortina Editore, Milano.
7 Manghi S., (a cura di) 2002, Attraverso Bateson. Ecologia della mente e relazioni sociali, Raffaello Cortina Editore, Milano.
8Bateson G.,1979, Mind and Nature. A Necessary Unity; tr. it. di G. Longo, Mente e natura. Un'unità necessaria, Adelphi, Milano,1984.
9Sala M., 2007, L'arte di (non) insegnare e l'autoorganizzazione dei bambini nel gioco e nelle conversazioni scientifiche, Change.


Roberta Moglia
Articolo tratto dalla tesi Il doppio vincolo di Gregory Bateson: oltre la schizofrenia, verso la creatività