La sociologia è una scienza che ha tardato molto ad affermarsi nell'ambito accademico italiano. Questo non toglie che diversi studiosi, nonostante gli strali del Croce, si siano interessati alla materia fin dal suo apparire in Europa nel tardo Ottocento. Solitamente quando si pensa a quel periodo è inevitabile menzionare Pareto; eppure anche altre figure hanno contribuito alla riflessione sociologica nel nostro paese in quegli anni. La tesi di Luca Turri permette di conoscere l'opera di uno di questi studiosi, Icilio Vanni, sociologo marchigiano vissuto a cavallo tra '800 e '900 e spesso trascurato anche dagli studi attuali delle facoltà italiane.
Di seguito riportiamo un'interessante passaggio del lavoro di Turri, Alle origini della sociologia italiana: Icilio Vanni, nel quale è approfondita la concezione sociologica del sociologo italiano, la cui opera ha contribuito all'affermazione, seppur lenta, della sociologia in Italia.

Vanni iniziava la sua trattazione [Prime linee di un programma critico di sociologia] ricordando che la sociologia deriva, direttamente, dalla filosofia positiva, ma che il nudo positivismo era stato superato dalla filosofia scientifica:

...la quale mira ad unificare il sapere, assorgendo dalle sintesi speciali ad una vasta sintesi generale comprensiva di tutti i fenomeni; mira a raccoglierli nell'unità della forza che li produce, a rispecchiare l'unità dell'universo nell'unità della sua legge, la legge della sua evoluzione1.

È chiara, in questo passaggio, l'influenza del pensiero di Spencer, al quale Vanni tributava l'appellativo di maestro. Dal grande coro dei seguaci di Spencer egli si allontanava però subito, per criticare alcuni sviluppi dell'evoluzionismo che, a suo vedere, rappresentavano delle involuzioni dogmatiche del pensiero del grande maestro.
Due erano gli aspetti problematici: il primo riguardava quei pensatori che si accostavano al fenomenismo, facendo della legge dell'evoluzione non la legge dei fenomeni a noi accessibili bensì la legge suprema dell'essere, delle cose in sé; il secondo era rappresentato dalla tendenza, da parte di alcuni, a non considerare a sufficienza le differenze esistenti tra i vari ordini di fenomeni che componevano la scala evolutiva. Era a causa di questi sviluppi che, secondo Vanni, era necessario, per il bene della sociologia, ricordare come:

...la logica applicata ci ha insegnato da un pezzo che una scienza non può dirsi costituita, se non quando se ne sieno risolute le questioni generali e fondamentali, vale a dire fissato in base ai suoi caratteri differenziali l'oggetto e con questo il campo e i limiti, determinato il posto che occupa nel sistema delle scienze o gruppi di scienze affini, distinte la parti, assegnato il metodo, indicato lo scopo. È dunque un lavoro essenzialmente ed eminentemente critico che si richiede per la sociologia, un lavoro propedeutico di sistemazione, di organizzazione, di orientazione2.

In queste righe è contenuto lo scopo del lavoro, il suo obiettivo, il suo modo di procedere: in una parola, cosa Vanni si prefiggesse di realizzare. Non è compito da poco, ma egli riteneva inderogabile cercare di strappare la sociologia - ma in senso lato le diverse scienze sociali -dall'anarchia nella quale si trovavano. A riprova della necessità di tale operazione, l'autore si chiedeva se fosse possibile - in quel momento - reperire una definizione accettabile della sociologia:

Che la sociologia si occupi di fenomeni sociali, è una verità evidente, un truismo direbbero gli inglesi ...; e fin qui, come è naturale, regna il più completo accordo, per quanto, e lo si vedrà in appresso, che cosa sia il fenomeno sociale, quali i suoi caratteri differenziali, dove e quando cominci nell'ordine della realtà fenomeniche, tutto ciò forma oggetto di gravi dissensi...3.

Proseguendo in questa ricognizione sullo stato della sociologia a lui contemporanea, Vanni enumerava ben dieci modi diversi di intendere la disciplina. Per trovare il bandolo di tale matassa sociologica, di conseguenza, Vanni riteneva fondamentale cominciare dall'assegnare al termine sociologia la sua portata, i suoi limiti, i suoi specifici tratti; in una parola - così si esprimeva l'autore - il suo valore tecnico.
Esistevano, ai suoi occhi, tre diverse concezioni del termine sociologia alle quali ricondurre le dieci diverse definizioni prima ricordate: la prima intendeva fare della sociologia un termine generico con il quale rinominare le varie scienze sociali; la seconda intendeva invece negare la legittimità dell'esistenza di scienze sociali al di fuori della sociologia; infine, la terza riteneva necessaria una scienza sintetica che riunisse ed elaborasse i risultati delle singole scienze sociali.
Prima di esporre la sua personale concezione, Vanni ricordava quelle di alcuni dei fondatori della sociologia. Per Comte, la sociologia doveva essere l'unica scienza della società; per Spencer - in maniera un po' vaga - doveva essere la scienza del superorganico; Stuart Mill riteneva, invece, che la sociologia dovesse essere distinta dalle singole scienze sociali: queste dedite allo studio dei diversi fenomeni sociali, quella interessata ad indagare lo stato generale della società.
Poi continuava, dichiarando necessario esplicitare:

...il punto di partenza e il criterio della ricerca. Qualunque sistemazione riesce necessariamente arbitraria, se non corrisponda alla realtà obbiettiva dei fatti; la scienza deve rispecchiare l'ordine naturale delle cose. Ora in esso ci appariscono distinti il tutto e gli elementi che lo compongono, l'unità della vita sociale e la varietà dei suoi aspetti, il prodotto complessivo e la molteplicità delle forze che, intrecciandosi e coordinandosi, concorrono a formarlo4.

Si noti il passaggio "la scienza deve rispecchiare l'ordine naturale delle cose": è questo un concetto ricorrente nel pensiero di Vanni, sul quale torneremo in seguito.
Vanni, dunque, affermava che i diversi fenomeni sociali hanno caratteristiche diverse, e richiedono quindi discipline diverse; ma riteneva che lo stato generale della società, nel quale si fondono gli effetti di quei fenomeni, dovesse, necessariamente, essere studiato per quello che è, cioè qualcosa di diverso e distinto.

Note bibliografiche:
1I. VANNI, Prime linee di un programma critico di sociologia, in Saggi di filosofia sociale e giuridica, Bologna, Zanichelli, 1906, pp. 426-427.
2Ibidem, p.429
3Ibidem, p. 435
4Ibidem, p. 441


Articolo tratto dalla tesi di Luca Turri, Alle origini della sociologia italiana: Icilio Vanni