L'attenzione della sociologia verso la rappresentazione sociale della salute e della malattia non ha sempre rivestito un ruolo centrale all'interno della disciplina. Spesso marginalizzata, oggi, al contrario, sta conoscendo una importante crescita. Sintomi evidenti la diffusione di cattedre di sociologia della medicina presso gli atenei (una molto interessante è tenuta dal professore Enzo Colombo presso l'Università degli Studi di Milano) e i sempre più frequenti studi sociologici sul tema.

La tesi di Giuseppina D'Auria, Sociologia della salute. Quali prospettive? è un'interessante analisi delle prospettive future di questo ramo della disciplina, con un'attenzione particolare verso quella che presso gli ambiti scientifici viene chiamata "sociobiologia".

All'interno della tesi un'interessante paragrafo propone l'analisi dei cambiamenti avvenuti nella concezione e nella rappresentazione della salute con la post-modernità. Di seguito il testo.

La rappresentazione della salute nella post-modernità

La sociologia ha compreso, prima fra le scienze, il fatto che l’attore sociale è in grado di rappresentare i contenuti dell’immagine del mondo a prescindere dalla sua reale esistenza, in altri termini, dalla sua natura.

Così come si sono trasformati nel corso del tempo gli atteggiamenti medico-epidemiologici, anche gli sviluppi dei rapporti uomo/collettività/salute e uomo/collettività/operatori hanno assunto connotazioni peculiari: i modelli di salute e di malattia si caratterizzano diversamente nei diversi periodi storici, essendo strettamente correlati alle trasformazioni economiche, politiche, sociali e quindi ai mutamenti dei valori, dei modelli di comportamento, delle culture in genere. Si può dividere la nostra riflessione in due periodi, il primo che chiameremo ieri e che si può arrivare fino alla seconda guerra mondiale, ma che sicuramente descrive una storia non conclusa, satura di questioni e problemi, di ipotesi di lavoro, di dubbi1

Il modello di ieri fondato sul concetto di assistenza riparatoria nei confronti della malattia, deve dunque oggi cedere il posto ad un modello mirato alla prevenzione, alla eliminazione dei fattori di rischio ed al controllo dell’efficacia degli interventi socio-sanitari, perché si può affermare che oggi, accanto allo spettro di malattie incurabili e non controllabili dal punto di vista strettamente tecnico, si profili l’altro aspetto della malattia, quello inerente ciò che essa implica nelle differenti aree e dimensioni degli ambiti sociale, psichico, culturale.

La carenza di vincoli comunitari e la mancanza di quelle infrastrutture che potrebbero permettere agli individui malati di mantenersi all’interno del legame dei gruppi primari, determinano l’ansia e la preoccupazione dell’importanza di fronte alla malattia. E non è certo la rete di strutture assistenziali a permettere di uscire da tale situazione: la tutela della salute, delegata a tecnici e ad esperti, non è più controllabile dall’individuo e dal gruppo sociale, solitamente lasciati nell’ignoranza e nel pregiudizio di fronte alla complessità di cure e linguaggi. Inoltre, la maggiore richiesta di cure e di assistenza è stata in un primo tempo indotta e poi strumentalizzata per costruire un sistema in cui l’industria della salute è destinata a produrre una crescente spesa nel reddito nazionale a fronte di un crescente intervento sulle cause reali di malattia e di morte.
Infine insieme all’abbassamento delle soglie di tolleranza verso le malattie e alla medicalizzazione della salute, occorre sottolineare il progressivo ampliamento dell’istituzionalizzazione della malattia, uno sviluppo degli interventi secondari e terziari, cioè di ordine curativo, riabilitativo, specialistico, che viene a sostituirsi all’intervento primario, globale, realmente preventivo.

Trasformazioni come quelle accennate hanno determinato il passaggio da una medicina socializzata, socializzante, comunitaria ad una medicina intesa come apparato “produttivo”, “di impresa”, finalizzata ad indurre la domanda ed il consumo, ad esercitare un controllo sociale e la conseguente riproduzione del consenso, verificando così ogni residuo tentativo della collettività di sconfiggere in parte l’insorgere delle malattie, fronteggiandole anche in maniera decentrata e controllata dal punto di vista democratico2.

Alle nuove frontiere degli studi biologici, gli studi sociologici più recenti hanno mostrato che la valutazione degli oggetti e dei fatti, è una parte del mondo naturale. In particolar modo e grazie all’approccio della sociobiologia, lo sforzo di spiegare in termini biologici aspetti del comportamento umano, tradizionalmente oggetto di studio delle scienze umane, tenta di ridefinire l’evoluzione della specie ed il suo essere.
L’attore sociale, nella sua dimensione sociale, culturale e biologica, presenta il problema di ristabilire ciò che in questa dissociazione è assente, la relazione individuo, società, specie come permanente e simultanea (Morin). L’approccio tipico della sociobiologia impiega la teoria evolutiva per interpretare il comportamento sociale animale ed umano, tentando una sintesi piuttosto ampia, comprendente un vasto insieme di fenomeni (Barash). In tale direzione non sembra esservi dubbio sul fatto che il problema fondamentale sta nel rapporto fra il sistema sociale e la natura, come evento biologico e, in questa relazione fra natura, evoluzione e società.

Se fino a pochi decenni fa esisteva, e forse esiste ancora, una relazione fra natura e società, fra evoluzione sociale ed evoluzione umana, con la società post-moderna le cose si sono distanziate e, in qualche modo, anche compenetrate.
Questa relazione, così complessa, che necessita di scienze diverse per essere osservata compiutamente, è chiaramente concettualizzata soltanto da tre secoli. Quello che si vuole sottolineare è la mancanza di linearità e di prevedibilità del processo evolutivo. Che un individuo venisse al mondo secondo i metodi della riproduzione sessuata naturale, avesse un corpo e una mente soggetti a malattie e invecchiamento, soffrisse, godesse e morisse assieme ai suoi organi, appariva un dato di fatto inoppugnabile; come anche che l’evoluzione fosse un percorso fra ambiente naturale ed ambiente sociale. Invece, sembra necessario ri-formulare molti parametri con i quali l’attore sociale ha cercato di identificare l’altro ed identificare se stesso. Per questo è necessario riflettere sul tema vita, e non solo in termini biologici.

Morin, già nel 1974, suggeriva di inserire la relazione fra individuo e società in un rapporto specie, individuo e società, un rapporto cultura, ambiente e società.
Una riflessione sociologica sul concetto di vita e della sua evoluzione non è necessariamente terreno scientifico dell’epistemologia e della biologia ma costituisce il tentativo di definire i contorni sul tema della vita a partire dalla grande quantità di informazioni disponibili e dei metodi per analizzare tali dati: «un termine che si incontra spesso nelle scienze sociali per designare la storia naturale è ermeneutica. Nell’uso originale e circoscritto questa espressione derivata dal greco Hermeneutikòs (capace di interpretare) designa l’analisi e l’inter-pretazione dei testi, specialmente del Vecchio e del Nuovo Testamento. Nel campo delle scienze sociali e umanistiche è stata allargata fino a comprendere l’esplorazione sistematica dei rapporti sociali e della cultura, in cui ogni soggetto viene esaminato da studiosi che esprimono punti di vista e culture diverse» (Wilson).

La comprensione della vita, anche alla luce della sociobiologia, è possibile anche relazione al fatto che “solo l’uomo ha coscienza della propria morte. Questa coscienza è legata alla facoltà immaginativa, che ci permette di proiettarci” (Ruffiè). Una sociobiologia post-moderna dovrebbe poter comprendere e registrare i cambiamenti, come modificazioni storiche, come conseguenze della post-modernità.

Non si tratta solo, come osservato da Zygmunt Bauman, della perdita della forma solida della modernità e della sua trasformazione in modernità liquida, ma soprattutto della incapacità di ordinare e governare la situazione e di indirizzarne i processi. Per Bauman due sono i caratteri che hanno segnato più di altri lo spirito moderno: «l’impulso a trascendere e andare oltre i limiti — cioè, l’impulso a trasformare le realtà oggettive — e l’impegno costante a perfezionare le capacità/possibilità di azione — cioè le capacità/possibilità di modificare le situazioni».
Ciò significa che nel cuore della modernità è iscritta la vocazione a manipolare e trasformare l’oggettività del mondo al fine di superare, in uno sforzo di liberazione permanente, gli ostacoli che esso ci pone. L’unico limite alle capacita trasformative potrà essere solo quello di fatto, quello dettato dalla attuale disponibilità di mezzi per metterle in atto.

Il problema, anche nelle fratture della post-modernità, sembra essere quello della conoscenza; quando aumenta la conoscenza, l’oscurità intellettuale che circonda l’attore sociale viene illuminata, e si può meglio osservare ed apprendere dal mondo naturale. Oggi le nuove conoscenze sembrano portare sia riavvicinamenti inattesi sia nuove distinzioni, destabilizzando le categorie meglio fondate nella ricerca, fra le scienze, delle possibili e diverse linee di connessione.
Sembra necessario un impegno teso a chiarire, grazie al fondamentale contributo della sociologia, la spiegazione scientifica dei fenomeni biologici, fenomeni di carattere estremamente complesso e vario ed è proprio tale caratteristica che contrasta con l’esigenza primaria di ogni osservazione scientifica, ovvero la presenza in un campo di studio costituito essenzialmente dalla diversità e dalla varietà e che quindi si configura non generalizzabile a priori.

Come ha osservato Grmek: «nel nostro modo di concepire un fenomeno, soprattutto un fenomeno legato alla vita, esistono sempre delle dualità essenziale tutto o parte, oppure stato o processo o funzione, causa o scopo. Il processo può essere considerato come una continuità o come una sere di discontinuità fondamentali: evoluzione o rivoluzione, continuità materiale o continuità informatica. Questa dialettica parte-tutto non vale solo per un organismo, ma anche per il rapporto fra individuo ed ambiente.


Giuseppina D'Auria, Sociologia della salute. Quali prospettive?